La rivoluzione della stampa 3D su scala nanometrica potrebbe trasformare radicalmente il panorama della produzione di microchip, ma con alcune importanti limitazioni. La startup Atum Works ha recentemente annunciato di aver sviluppato una tecnologia di stampa 3D capace di ridurre i costi di fabbricazione dei chip fino al 90%, proponendosi come alternativa ai complessi processi produttivi attuali. Tuttavia, con una risoluzione di 100 nanometri, questa tecnologia risulta indietro di circa due decenni rispetto agli standard odierni per i chip logici, posizionandosi piuttosto come soluzione per applicazioni specifiche come packaging, fotonica e sensori.
I microchip moderni rappresentano strutture estremamente complesse, paragonabili a edifici con più piani, blocchi differenziati e infrastrutture di comunicazione interconnesse. La loro produzione richiede migliaia di passaggi e centinaia di strumenti specializzati, con costi che raggiungono cifre astronomiche. È in questo contesto che Atum Works intende rivoluzionare il settore con la sua proposta tecnologica innovativa.
L’approccio di Atum Works si discosta radicalmente dai metodi convenzionali basati sulla litografia planare. Invece di utilizzare maschere fotolitografiche per imprimere circuiti su wafer di silicio, il sistema della startup deposita materiali in punti precisi nello spazio tridimensionale. Questo permette la creazione di strutture 3D multi-materiale con una risoluzione di 100 nanometri a livello di voxel (l’equivalente tridimensionale del pixel) su scala di wafer.
La vera innovazione risiede nella possibilità di fabbricare circuiti integrati e interconnessioni in un processo unificato e continuo, promettendo rendimenti superiori rispetto ai metodi tradizionali. Tuttavia, il confronto con le tecnologie attuali evidenzia un gap significativo: gli strumenti litografici EUV moderni raggiungono risoluzioni di circa 13 nanometri, mentre gli strumenti di incisione ottengono precisioni verticali inferiori ai 10 nanometri.
La risoluzione di 100 nanometri offerta da Atum Works corrisponde ai processi tecnologici utilizzati tra il 2003 e il 2005, rendendola inadeguata per la produzione di processori ad alte prestazioni moderni. Nonostante questo limite fondamentale, la tecnologia presenta opportunità interessanti in settori specifici dove la complessità del design tridimensionale è più importante della miniaturizzazione estrema.
Le applicazioni più promettenti includono il packaging avanzato, le strutture di interconnessione, i componenti fotonici e vari tipi di sensori. Resta però da chiarire se questa stampante 3D nanometrica sia compatibile con gli strumenti e i flussi di lavoro già esistenti nelle fabbriche di semiconduttori, un fattore cruciale per l’adozione industriale.
La startup non si limita ad annunci teorici: è già in trattativa con potenziali clienti e prevede di iniziare le consegne effettive del prodotto entro l’anno corrente. Tra le prime partnership spicca una lettera di intenti per lo sviluppo collaborativo con NVIDIA, gigante indiscusso nel settore dei processori grafici e dell’intelligenza artificiale.
Il potenziale risparmio del 90% sui costi di fabbricazione rappresenta un argomento convincente, soprattutto in un’industria dove gli investimenti per nuovi impianti di produzione hanno raggiunto cifre superiori ai 20 miliardi di dollari. Se Atum Works riuscirà a mantenere le promesse, potrebbe aprire nuove strade per l’innovazione in settori specifici dell’industria dei semiconduttori, pur non rappresentando una soluzione universale per tutte le esigenze di fabbricazione avanzata.