Non solo Open AI, Chrome interessa anche a quest’altra azienda

La fase decisiva del processo antitrust statunitense contro Google vede emergere un nuovo, agguerrito protagonista. Dmitry Shevelenko, Chief Business Officer (CBO) di Perplexity AI, una startup in rapida ascesa nel campo della ricerca basata sull’intelligenza artificiale, ha colto di sorpresa molti osservatori durante la sua recente testimonianza. Convocato dal Dipartimento di Giustizia (DOJ) americano, Shevelenko non solo ha descritto le difficoltà incontrate dalla sua azienda a causa delle presunte pratiche monopolistiche di Google, ma ha anche avanzato una proposta audace: Perplexity sarebbe pronta ad acquistare il browser Chrome, qualora il tribunale ordinasse a Google di cederlo.

Inizialmente, Shevelenko si era mostrato riluttante a testimoniare, temendo ritorsioni da parte del gigante di Mountain View. Tuttavia, una volta chiamato a deporre sotto citazione, ha trasformato l’aula di tribunale in un’opportunità di business. Rispondendo a una domanda diretta sulla possibilità che un’entità diversa da Google potesse gestire un browser della scala di Chrome senza comprometterne la qualità o introdurre costi per gli utenti, Shevelenko ha affermato con sicurezza:

Penso che potremmo farlo noi“.

Questa dichiarazione si inserisce nel cuore della fase sanzionatoria del processo. Il giudice Amit Mehta, che nella prima fase ha stabilito che attraverso accordi escludenti, sta ora valutando le misure correttive proposte dal DOJ. Tra queste, spicca la richiesta di imporre a Google la cessione del popolare browser Chrome e del progetto open source Chromium, su cui si basano numerosi altri browser. Google si oppone fermamente, paventando rischi per la sicurezza, l’innovazione e la gratuità del browser, con potenziali effetti a catena sull’intero settore.

L’interesse di Perplexity per Chrome segue a stretto giro quello manifestato da un altro colosso dell’AI, OpenAI. Pochi giorni prima, un dirigente di OpenAI, Nick Turley, aveva testimoniato che . Tuttavia, la posizione di Perplexity appare più sfumata. Nonostante l’offerta lanciata da Shevelenko in tribunale, emerge una certa ambivalenza. In vista della testimonianza, lo stesso CBO aveva condiviso sui social un post del team di Perplexity che argomentava contro uno “smembramento” di Google.

Inoltre, report precedenti e dichiarazioni pubbliche del CEO di Perplexity, Aravind Srinivas, indicavano una preferenza per rimedi focalizzati sull’aumento della scelta per l’utente e sull’equità del mercato, piuttosto che su cessioni strutturali come quella di Chrome. Srinivas aveva persino espresso dubbi sulla capacità di altri di gestire Chrome alla scala di Google. La stessa Perplexity, inoltre, sta sviluppando un proprio browser basato sull’intelligenza artificiale, denominato Comet. L’offerta di Shevelenko potrebbe quindi rappresentare una mossa tattica o una visione specifica all’interno dell’azienda, piuttosto che una strategia consolidata.

Al di là della proposta su Chrome, la testimonianza di Shevelenko si è concentrata sulle presunte barriere erette da Google. Ha descritto come un “percorso a ostacoli” la procedura che un utente Android deve seguire per impostare Perplexity come assistente AI predefinito, ammettendo di aver avuto bisogno dell’aiuto di un collega (ha però anche ammesso di essere un utente iPhone di lunga data). Anche una volta impostato, l’assistente Perplexity non godrebbe della stessa integrazione di Google Assistant, richiedendo la pressione di un tasto anziché l’attivazione vocale tramite “wake word”.

Shevelenko ha poi rincarato la dose parlando degli accordi commerciali di Google con i produttori di smartphone e altri partner. Utilizzando un elenco anonimizzato di aziende contattate da Perplexity per accordi di preinstallazione o impostazione predefinita negli USA, ha raccontato come le trattative si scontrassero ripetutamente contro un muro: il timore dei partner di perdere i cospicui ricavi derivanti dagli accordi di condivisione delle entrate con Google.

Secondo il CBO, le aziende sotto contratto con Google si trovano essenzialmente “con una pistola puntata alla tempia“, poiché Google potrebbe interrompere flussi di entrate significativi qualora prendessero decisioni sgradite a Mountain View. Ha citato il caso di un’azienda (identificata da report esterni come probabile Motorola) che, pur desiderando impostare Perplexity come assistente predefinito e riconoscendone i benefici per gli utenti, non è riuscita a trovare un modo per aggirare gli “obblighi contrattuali” verso Google, nonostante fossero stati esplorati “tutti i workaround creativi possibili“.

Il dirigente di Perplexity ha comunque riconosciuto che è proprio la pressione esercitata dal processo antitrust su Google ad aver creato un’apertura, rendendo operatori telefonici, produttori di dispositivi e sviluppatori di browser più disposti a discutere potenziali accordi con concorrenti come Perplexity.

Nonostante l’offerta audace e le dure accuse, Shevelenko ha concluso la sua deposizione con toni più concilianti, sottolineando che Google realizza ottimi prodotti su cui altri possono costruire e innovare. Ha espresso preoccupazione per l’ipotesi che un’azienda come OpenAI acquisti Chrome e decida di abbandonare il modello open source di Chromium o non lo supporti adeguatamente.

C’è tutto l’incentivo egoistico a essere qui oggi e gridare quanto sia malvagia Google, ma credo che vogliamo essere ragionevoli“, ha affermato. “Non vorremmo un rimedio che paralizzi la capacità di Google di continuare a fare [buoni prodotti]“.

La priorità di Perplexity, sembra emergere, è la rimozione degli accordi di distribuzione esclusiva che limitano la scelta dell’utente, più che la vendita forzata di Chrome.

La testimonianza di Shevelenko segna un momento significativo, portando la voce diretta di un concorrente emergente nel campo dell’AI all’interno di uno dei più importanti processi antitrust tecnologici degli ultimi decenni. Le sue parole evidenziano le sfide competitive nel settore e mettono ulteriore pressione su Google, mentre il giudice Mehta si appresta a decidere quali rimedi adottare per ripristinare la concorrenza nel mercato dominato da Google Search. La decisione finale avrà implicazioni profonde non solo per Google, ma per l’intero ecosistema digitale.